Finanziata in Valle d’Aosta una sperimentazione priva di basi scientifiche: ora si scopre un possibile coinvolgimento anche di enti pubblici nazionali. Quali rischi per la credibilità della scienza?
Negli ultimi giorni, un caso tanto curioso quanto preoccupante ha riacceso il dibattito sulla presenza della pseudoscienza all’interno delle istituzioni pubbliche. Tutto parte dalla Valle d’Aosta, dove nel 2022 sono stati stanziati fondi regionali per sperimentare l’uso dell’“acqua informata in polvere” in agricoltura, una pratica priva di qualsiasi base scientifica. Il concetto, che riprende le teorie controverse della cosiddetta “memoria dell’acqua”, sostiene che l’acqua possa “ricordare” le sostanze con cui è entrata in contatto, anche dopo che queste sono state completamente rimosse. Una teoria affascinante, ma smentita da decenni dalla comunità scientifica.

Dopo accese discussioni in Consiglio regionale, la Regione ha ammesso l’errore e annunciato ufficialmente che non proseguirà con ulteriori test né collaborazioni sul tema. Una marcia indietro che va riconosciuta, ma che lascia aperti molti interrogativi. Perché mai sono stati investiti soldi pubblici in un progetto così debole sul piano scientifico? E, soprattutto, come si è potuto approvare una sperimentazione basandosi solo su un servizio televisivo e documenti forniti dal promotore stesso, senza consultare esperti indipendenti?
Ripercussioni sulla credibilità stessa della ricerca scientifica italiana
Il caso evidenzia una grave falla nella cultura scientifica della pubblica amministrazione: l’assenza di valutazioni tecniche solide ha reso possibile l’avvio di una sperimentazione priva di qualsiasi fondamento, gettando un’ombra sull’immagine dell’ente regionale. Ma la vicenda potrebbe avere conseguenze ben più ampie.

Nel comunicato diffuso dalla Regione, emerge infatti un fatto allarmante: l’esperimento sarebbe stato avviato anche grazie a contatti con ricercatori dell’INAIL (l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro) e del CREA, l’ente pubblico italiano più autorevole per la ricerca in agricoltura. Se confermato, questo elemento trasformerebbe un caso locale in una questione nazionale, con ripercussioni sulla credibilità stessa della ricerca scientifica italiana.
Come è stato possibile arrivare a questo punto? Sono stati coinvolti comitati etici? Quali protocolli sono stati seguiti? Domande fondamentali che attendono risposte urgenti. Il timore è che ci si trovi davanti a un caso in cui la fascinazione per idee “alternative” abbia avuto la meglio sulla prudenza scientifica, aprendo la porta alla legittimazione di pratiche senza prove e senza senso.
La consigliera regionale Minelli ha giustamente richiamato l’importanza di affidarsi solo a esperti con solide credenziali. Una lezione che dovrebbe valere per ogni ente pubblico, non solo in Valle d’Aosta. È in gioco non solo la correttezza dell’uso dei fondi, ma la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e nella scienza.
Questo episodio deve servire da campanello d’allarme: la scienza non può essere sostituita da suggestioni o intuizioni personali, specie quando si tratta di politiche pubbliche. Se non si alzano barriere più robuste contro le pseudoscienze, il rischio è che ci si ritrovi a finanziare altre “acque miracolose” o invenzioni degne di un fumetto.