Il XXI secolo ha segnato una svolta epocale per le regioni artiche. Secondo uno studio recente, il riscaldamento globale ha causato il ritiro dei ghiacciai marini dell’emisfero settentrionale, generando oltre 2.466 km di nuove coste esposte tra il 2000 e il 2020. Un fenomeno che non solo ridefinisce le mappe, ma che ha impatti profondi su ecosistemi, paesaggi e comunità locali.
La Groenlandia è al centro di questo processo: da sola rappresenta il 66% della nuova linea costiera emersa. Seguono l’Artico canadese settentrionale, l’Artico russo e le isole Svalbard, ciascuna con circa 220-240 km di nuove coste. Questo cambiamento accelerato è legato al fatto che l’Artico si sta riscaldando fino a quattro volte più velocemente rispetto alla media globale. A questo ritmo, si prevede un’ulteriore accelerazione del ritiro glaciale nei decenni a venire.

Le nuove coste, definite “paraglaciali”, si formano su terreni fino a pochi anni fa coperti da ghiaccio. Si tratta di ambienti dinamici, con morfologie instabili: morene, creste glaciali, delta glaciofluviali e rocce levigate emergono rapidamente, privi inizialmente del permafrost che normalmente cementa i sedimenti artici. Questo li rende estremamente vulnerabili all’erosione e alle trasformazioni operate da onde, maree e correnti.
Il cambiamento non è solo geografico, ma anche ecologico e sociale.
Le nuove coste rappresentano habitat inediti per la fauna artica, ma espongono le comunità locali a nuovi rischi. Tra i pericoli principali vi sono le onde estreme, simili a tsunami, innescate da eventi legati alla deglaciazione: distacchi glaciali, ribaltamenti di iceberg, frane. Un esempio tragico risale al 2017, quando un’onda gigantesca colpì un villaggio della Groenlandia provocando danni e vittime.

Anche il turismo e la navigazione devono adattarsi. Le spettacolari pareti glaciali che attraggono visitatori rischiano di scomparire o diventare pericolose. Allo stesso tempo, la fine della produzione di iceberg da parte di alcuni ghiacciai potrebbe favorire una navigazione più sicura in alcune aree.
Ma c’è anche un lato economico potenzialmente positivo. La maggiore esposizione di sedimenti e la formazione di nuovi delta potrebbero rendere più accessibili risorse naturali finora inaccessibili, rafforzando l’autonomia economica di regioni come la Groenlandia. In conclusione, il ritiro dei ghiacciai marini è molto più che un indicatore del cambiamento climatico: è una forza dirompente che sta riscrivendo la geografia artica, generando nuove coste e nuove sfide. Comprendere e monitorare questa transizione è essenziale per la gestione sostenibile del futuro dell’Artico.