Difesa o ambiente? Il bivio dell’Europa tra spese militari e crisi climatica

I nuovi obiettivi NATO spingono i governi europei verso un forte aumento della spesa militare. Ma gli economisti avvertono: a rischio investimenti cruciali per il clima e il welfare sociale.

Mentre l’Europa si prepara al prossimo vertice NATO, in programma questa settimana, si intensificano le discussioni su un possibile aumento della spesa militare da parte di tutti i 32 Stati membri. La proposta, sostenuta anche dagli Stati Uniti, prevede che ogni paese arrivi a investire fino al 5% del proprio PIL nella difesa: un salto significativo rispetto all’attuale obiettivo del 2%.

crisi climatica e sicurezza
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Ma se da un lato la misura viene presentata come una risposta alla crescente instabilità geopolitica – in particolare alle tensioni con la Russia – dall’altro economisti ed esperti mettono in guardia sul prezzo che l’Europa rischia di pagare. Non si parla solo di denaro, ma di scelte politiche che possono compromettere il futuro climatico e sociale del continente.

Il nodo è semplice: per finanziare un aumento così importante delle spese per carri armati, armi, navi e cyber-sicurezza, i governi dovrebbero inevitabilmente ridurre i fondi destinati ad altri settori. Settori che includono l’edilizia popolare, l’assistenza sanitaria pubblica e, soprattutto, la lotta contro il cambiamento climatico. Secondo uno studio della New Economics Foundation (NEF), solo i paesi dell’Unione Europea dovrebbero spendere 613 miliardi di euro in più all’anno per raggiungere l’obiettivo del 5% del PIL per la difesa. Una cifra che supera abbondantemente il divario di finanziamento per i progetti ambientali e sociali, stimato tra i 375 e i 526 miliardi annui.

La sicurezza non è solo militare: la crisi climatica rischia di passare in secondo piano

Il problema, secondo gli analisti, è che i governi sembrano trattare la difesa armata come una priorità assoluta e non negoziabile, mentre considerano secondari o facoltativi gli investimenti nella transizione ecologica e nella protezione sociale.

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Un paradosso, sottolineano molti osservatori, se si considera che il cambiamento climatico rappresenta una minaccia concreta e quotidiana per la sicurezza delle popolazioni: eventi estremi, scarsità di risorse, migrazioni forzate e instabilità sociale. “Se si riesce a mobilitare centinaia di miliardi per la difesa, è evidente che il problema non è la disponibilità economica, ma la volontà politica,” ha dichiarato Sebastian Mang, esperto di politiche pubbliche.

A ciò si aggiunge un altro aspetto determinante: l’impatto ambientale stesso dell’industria militare. Le attività legate alla produzione e all’utilizzo di mezzi bellici – come aerei da guerra, navi e carri armati – consumano enormi quantità di combustibili fossili e contribuiscono in modo significativo alle emissioni globali di gas serra. Secondo un’analisi pubblicata dal Guardian, l’aumento delle spese militari da parte dei paesi NATO (esclusi gli Stati Uniti) potrebbe causare un incremento annuo di circa 200 milioni di tonnellate di CO₂. Un dato allarmante, soprattutto se si considera che molte nazioni europee si sono impegnate pubblicamente a ridurre le emissioni per rispettare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.

In definitiva, la scelta tra rafforzare gli eserciti o investire in un futuro più verde non è solo economica, ma profondamente politica. L’opinione pubblica – soprattutto quella più giovane – rischia di perdere fiducia nelle istituzioni se vedrà privilegiare la logica della guerra rispetto a quella della giustizia sociale e ambientale. Per questo motivo, molti esperti invitano i leader europei a riflettere attentamente sulle reali priorità del continente e sulle conseguenze a lungo termine delle loro decisioni.

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