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Con il nuovo meccanismo anti-coercizione, l’Ue vuole rispondere in modo più compatto e deciso alle pressioni economiche esterne. Ma la strategia è ancora tutta da costruire.
Negli ultimi anni, l’Unione europea si è trovata sempre più spesso al centro di tensioni commerciali con alcune grandi potenze extraeuropee, in particolare gli Stati Uniti. Le relazioni economiche tra le due sponde dell’Atlantico sono state messe a dura prova dall’introduzione, per volere di Donald Trump, di nuovi dazi americani su acciaio, alluminio e altri prodotti europei, come nel caso dei recenti aumenti tariffari annunciati nel marzo scorso. In risposta a queste misure considerate ostili, l’Ue ha deciso di dotarsi di un nuovo strumento: il meccanismo anti-coercizione, approvato definitivamente nell’autunno 2023.

Ma cosa significa concretamente? In parole semplici, questo strumento permetterà all’Unione europea di proteggere i propri interessi economici quando uno Stato straniero cerca di esercitare pressioni ingiustificate o minacciose per ottenere vantaggi commerciali. L’obiettivo principale non è tanto quello di lanciare subito ritorsioni economiche, quanto agire come deterrente: far capire agli altri Paesi che, se costretti, l’Ue è in grado di rispondere. Lo strumento, quindi, punta prima alla via diplomatica e solo come ultima risorsa prevede misure concrete come limiti all’import-export, restrizioni sugli investimenti o sui finanziamenti.
Questa mossa arriva in un momento particolarmente delicato, con una nuova “guerra dei dazi” alimentata dalle decisioni unilaterali di Washington, in particolare quelle dell’ex presidente (e probabile futuro candidato) Donald Trump. Il contesto rende il meccanismo anti-coercizione ancora più importante, anche perché l’Ue deve dimostrare di avere una linea comune e una reattività che spesso le sono mancate in passato.
Tra minacce reciproche e fragilità europee: il difficile equilibrio della risposta europea
Il problema, tuttavia, è che l’Unione europea fatica a muoversi con decisione quando i singoli Stati membri hanno interessi economici divergenti. Un esempio lampante è arrivato quando la Commissione ha annunciato un pacchetto di contromisure da 26 miliardi di euro in risposta ai dazi americani: un annuncio forte, ma poi subito ridimensionato per evitare ulteriori tensioni, soprattutto dopo la minaccia Usa di colpire i vini europei con tariffe del 200%. Paesi come l’Italia e la Francia, leader dell’export vinicolo, sono tra i più esposti e dunque i più cauti nel rilanciare.

Anche per questo motivo, i negoziati si sono spostati su due fronti: da un lato con gli Stati Uniti, per cercare un accordo che però al momento sembra lontano; dall’altro, all’interno dell’Unione, dove serve decidere quali prodotti colpire con eventuali contromisure. In tutto ciò, pesa anche la paralisi dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), che non riesce più a mediare efficacemente le dispute, lasciando campo libero a chi vuole imporre dazi in modo unilaterale.
Una possibile via per riequilibrare i rapporti con gli USA potrebbe essere colpire i servizi, in particolare quelli digitali, un settore in cui gli americani vantano un surplus significativo con l’Europa. E proprio questo aspetto rientra nelle potenzialità del nuovo meccanismo anti-coercizione: l’idea è che, senza agire impulsivamente, l’Ue possa mettere sul tavolo minacce mirate in settori sensibili per i partner più aggressivi. In altre parole, non si tratta di fare la voce grossa, ma di farsi rispettare, con strumenti nuovi e un po’ più efficaci.
La sfida, dunque, sarà tutta politica: riuscirà l’Ue a mostrarsi compatta e pronta a difendere i suoi interessi economici, senza cadere nella trappola di una nuova guerra commerciale che nessuno può davvero permettersi di perdere?
