Non solo sicurezza: il vero timore di Tel Aviv è perdere la supremazia militare in Medio Oriente se Teheran dovesse diventare una potenza nucleare
La crescente tensione tra Israele e Iran torna al centro del dibattito internazionale dopo gli attacchi israeliani ai siti nucleari iraniani e di fatto per quello che è lo scoppio di una nuova guerra. La ragione ufficiale, ribadita da Tel Aviv, è semplice: impedire che l’Iran costruisca un’arma atomica che potrebbe essere usata contro Israele, uno Stato che Teheran non riconosce e definisce “entità sionista“.

Israele considera questa minaccia come esistenziale, ma la realtà geopolitica è ben più complessa. Israele possiede da anni armi nucleari, pur senza mai dichiararlo apertamente, e teme che un Iran dotato dello stesso potere possa ristabilire un equilibrio militare nel quale Israele non avrebbe più un vantaggio netto. Non si tratta solo di difendersi da una minaccia, ma di conservare un’egemonia strategica nella regione.
Se l’Iran diventasse una potenza nucleare, non solo bilancerebbe Israele, ma scuoterebbe tutti gli equilibri del Medio Oriente, aprendo la strada a una possibile corsa agli armamenti tra i Paesi musulmani, a partire dall’Arabia Saudita. Fino ad oggi, l’unico Stato islamico con l’atomica è il Pakistan sunnita.
Atomica mediorientale
L’ipotesi di una “bomba sciita” preoccupa non solo Tel Aviv, ma anche le monarchie del Golfo e l’intera alleanza occidentale.

Il tempismo degli attacchi israeliani ai siti nucleari iraniani è tutt’altro che casuale. Sebbene l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) abbia recentemente confermato che l’Iran sta arricchendo uranio a livelli preoccupanti, le trattative in corso tra Teheran e Washington — mediate dall’Oman — sembrano aver spinto Israele ad agire prima che si raggiunga un nuovo accordo.
Benjamin Netanyahu si è sempre opposto a ogni forma di dialogo con l’Iran, temendo che un’intesa alleggerisca le pressioni internazionali su Teheran. Lo scenario è reso ancora più teso dai recenti scontri indiretti tra i due Paesi: l’Iran ha risposto a raid israeliani lanciando droni e missili, mentre Israele ha colpito obiettivi militari iraniani senza mai rivendicare ufficialmente la responsabilità.
Sul piano internazionale, Israele può contare sul sostegno solido degli Stati Uniti e dei Paesi europei, mentre l’Iran ha l’appoggio della Russia e riceve solidarietà da attori come la Turchia. In questo contesto instabile, Tel Aviv spera anche in una possibile rivolta interna in Iran, alimentata dal malcontento popolare verso il regime. Ma il Paese degli ayatollah, pur attraversato da tensioni, resta solido. L’Iran non è la Siria e, almeno per ora, il potere degli ayatollah non sembra sul punto di crollare.
Quello che è certo è che adesso Gaza è passata in secondo piano, con lo stop delle proteste contro un capitolo della storia oscuro e vergognoso. E si sa, gli esseri umani hanno la memoria corta.