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Per la prima volta, un tribunale per i diritti umani sancisce l’obbligo degli Stati di agire contro il riscaldamento globale: un precedente destinato a cambiare la giustizia climatica a livello globale
Un nuovo capitolo per la giustizia climatica si è aperto in America Latina, dove la Corte interamericana dei diritti umani ha riconosciuto, per la prima volta, il “diritto umano a un clima sano”. Una decisione senza precedenti che potrebbe ridefinire le responsabilità legali degli Stati nella lotta al riscaldamento globale.

La sentenza, frutto di un processo durato due anni e alimentato da oltre 260 contributi scritti di governi, aziende e comunità locali, stabilisce che le persone hanno il diritto a un sistema climatico “libero da interferenze antropiche pericolose”.
Con ciò, la Corte non solo sancisce un principio giuridico innovativo, ma impone agli Stati firmatari dell’Organizzazione degli Stati Americani – tra cui anche Stati Uniti e Canada – l’obbligo di regolamentare le attività ad alto impatto ambientale, in particolare l’estrazione di combustibili fossili.
Il riconoscimento del clima come questione di diritti umani
La pronuncia va ben oltre il riconoscimento teorico di un nuovo diritto: impone doveri concreti agli Stati, che dovranno adottare politiche ambiziose per la riduzione delle emissioni, supervisionare settori critici come cemento, agricoltura e energia, e differenziare gli obblighi aziendali sulla base delle emissioni storiche. Non si tratta solo di parole: secondo gli esperti, questa sentenza potrà rafforzare futuri contenziosi climatici e influenzare il diritto internazionale.

La Corte ha dichiarato apertamente che “non c’è più spazio per l’indifferenza”, sottolineando l’urgenza di misure politiche e legislative adeguate. Il pronunciamento arriva in un momento cruciale, alla vigilia della COP30 di Belém, dove i Paesi saranno chiamati a dimostrare impegni più incisivi. Ed è anche il frutto di una consultazione partecipata senza precedenti, con udienze nelle Barbados e in Brasile, a diretto contatto con le comunità più esposte alla crisi climatica.
Questo pronunciamento potrebbe fungere da catalizzatore per una nuova fase del diritto ambientale internazionale. In un mondo dove la crisi climatica colpisce con maggiore violenza le popolazioni più vulnerabili, il riconoscimento del clima come questione di diritti umani apre la strada a rivendicazioni sempre più forti nei tribunali.
Secondo Luisa Gómez, esperta del Center for International Environmental Law, si tratta di un “momento spartiacque” che rafforza la posizione legale di chi, in America Latina e non solo, vuole chiedere giustizia per i danni causati dal cambiamento climatico. E il potenziale impatto della sentenza potrebbe superare i confini regionali: anche la Corte Internazionale di Giustizia è attesa a breve con un suo parere consultivo sulla responsabilità degli Stati in materia climatica, e secondo molti giuristi terrà conto di quanto stabilito dalla Corte interamericana.
Il coinvolgimento di Paesi come Vanuatu – simbolo della vulnerabilità climatica nel Pacifico – e l’interesse crescente della società civile segnalano che l’azione legale sul clima sta guadagnando forza come strumento di pressione globale. Non si tratta solo di processi simbolici, ma di vere e proprie sfide legali che potrebbero costringere governi e grandi aziende ad accelerare la transizione energetica. Come ha sottolineato Sergio Diaz della Fossil Fuel Non-Proliferation Treaty Initiative, la via è ormai tracciata: senza una regolamentazione stringente dei combustibili fossili, non sarà possibile rispettare i diritti umani. La Corte ha parlato chiaro: il tempo dell’inazione è finito. Ora tocca agli Stati agire.
