Amazzonia, il conto alla rovescia è iniziato: “Entro 30 anni la foresta potrebbe scomparire”

Il climatologo brasiliano Carlos Nobre lancia l’allarme: crisi climatica, deforestazione e crimine organizzato spingono il polmone verde del pianeta verso un punto di non ritorno. A rischio clima globale e sicurezza alimentare.

La più grande foresta pluviale del mondo, l’Amazzonia, sta rischiando il collasso. A lanciare l’allarme è Carlos Nobre, climatologo brasiliano di fama mondiale, in prima linea da decenni nello studio delle foreste tropicali. La minaccia non è più teorica:

Punto di non ritorno Amazzonia
Punto di non ritorno Amazzonia -fuorionline

secondo i dati più aggiornati, il 18% della foresta è già stato disboscato, mentre il riscaldamento globale ha superato la soglia critica di +1,5 °C. Le proiezioni più pessimistiche – ma oggi realistiche – indicano che se la deforestazione raggiungesse il 20-25% e le temperature salissero di altri 0,5-1 °C, l’Amazzonia potrebbe subire una trasformazione irreversibile in una savana degradata, incapace di sostenere l’attuale biodiversità e le funzioni climatiche vitali che oggi garantisce.

La stagione secca, più lunga e arida ogni anno, è il segnale più evidente: rispetto a 45 anni fa, oggi dura circa cinque settimane in più, con una riduzione delle precipitazioni del 20%. Questo prolungamento è causato da un ciclo vizioso di deforestazione, cambiamento climatico e impoverimento del suolo.

I pascoli per l’allevamento e le coltivazioni intensive, come la soia, hanno degradato milioni di chilometri quadrati, diminuendo drasticamente la capacità degli ecosistemi di riciclare l’acqua. Il fenomeno dei cosiddetti “fiumi volanti” – correnti di vapore acqueo che dalla foresta alimentano le piogge su gran parte del Sud America – è ormai compromesso. Se la tendenza non verrà invertita, si assisterà a un drastico calo delle precipitazioni fino al 40% nelle principali regioni agricole del continente, con effetti devastanti sulla sicurezza alimentare globale.

Il ruolo del crimine organizzato e le sfide della rigenerazione ambientale

Ma non è solo la crisi climatica a spingere l’Amazzonia verso il punto di rottura. Nobre denuncia con forza anche l’azione della criminalità organizzata, che ha assunto un ruolo centrale nella distruzione della foresta. Nel 2024 si sono registrati oltre 150.000 incendi dolosi, legati a traffici illeciti di legname, oro, animali selvatici e droga. Secondo l’esperto, oltre il 50% degli incendi sono stati deliberatamente appiccati da bande che operano su scala transnazionale, eludendo ogni tentativo di controllo da parte delle autorità.

Punto di non ritorno Amazzonia
Punto di non ritorno Amazzonia-fuorionline

Questo fenomeno mina anche i progetti di riforestazione avviati dal governo brasiliano, che pure, sotto la guida del presidente Lula e della ministra Marina Silva, ha mostrato segnali incoraggianti, riducendo sensibilmente il tasso di deforestazione rispetto al picco raggiunto durante la presidenza Bolsonaro.

Il futuro dell’Amazzonia è appeso a un filo. Secondo Nobre, l’unica strada percorribile è una transizione rapida e su larga scala verso una “bioeconomia della foresta”, fondata sul rispetto della biodiversità, sul coinvolgimento delle comunità locali e sulla rigenerazione delle aree più compromesse.

Deforestazione zero, stop alle monocolture, rigenerazione dei suoli e protezione attiva dei territori indigeni sono i cardini di questa strategia. Ma il tempo stringe: se non si agisce con decisione entro i prossimi due o tre decenni, gran parte della foresta amazzonica potrebbe scomparire, rilasciando nell’atmosfera fino a 250 miliardi di tonnellate di CO₂ – una quantità tale da rendere impossibile qualsiasi piano per contenere il riscaldamento globale entro 1,5 °C. In gioco non c’è solo la sopravvivenza di un ecosistema straordinario, ma anche la stabilità climatica del pianeta e la salute futura dell’umanità.

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