Settimana corta Europa - fuorionline
Mentre Atene approva una legge che “permette” di lavorare fino a 13 ore al giorno, Madrid riduce l’orario settimanale a 37,5 ore. Due scelte radicalmente diverse raccontano il paradosso di un’Europa spaccata tra produttività, diritti e qualità della vita.
Il lavoro, oggi più che mai, è lo specchio delle scelte economiche e sociali di un Paese. E l’Europa, che per decenni ha rappresentato un modello di diritti e benessere, sembra dividersi su una questione determinante: quanto dobbiamo lavorare per vivere dignitosamente?
Mentre la Spagna si prepara ad accorciare la settimana lavorativa per migliorare la qualità della vita dei cittadini, la Grecia — reduce da anni di austerità — va nella direzione opposta, introducendo la possibilità di lavorare fino a 13 ore al giorno per 37 giorni l’anno.
Due provvedimenti, due visioni del futuro. Da una parte un modello che punta a un equilibrio tra produttività e tempo libero; dall’altra una politica che cerca di sostenere l’economia attraverso l’aumento delle ore lavorate.
Grecia: quando il lavoro diventa un’emergenza sociale
Il governo conservatore di Kyriakos Mitsotakis, leader del partito di destra Nea Democratia, ha approvato una legge che consente ai lavoratori di estendere la giornata lavorativa fino a 13 ore, in cambio di un aumento del 40% della retribuzione.
La misura, ufficialmente “volontaria”, prevede che ciò avvenga per un massimo di 37 giorni all’anno. Tuttavia, per molti osservatori e sindacati, si tratta di una scelta “da Medioevo”, che rischia di trasformare il bisogno di sopravvivere in una nuova forma di sfruttamento.
Dietro questa legge non c’è solo ideologia. La Grecia è uno dei Paesi con il più basso potere d’acquisto d’Europa, seconda solo alla Bulgaria. Dopo la crisi del debito e le misure di austerità imposte dalla Troika (Commissione UE, BCE e FMI), Atene ha dovuto ricostruire un’economia fragile, basata su salari bassi e alta flessibilità. Secondo l’Eurostat, i greci lavorano già più ore della media europea (40 contro 36), ma guadagnano meno. In questo contesto, la promessa di un incremento salariale, anche temporaneo, rischia di diventare una tentazione inevitabile.
Le reazioni: “una schiavitù retribuita”
I sindacati e le opposizioni politiche hanno reagito duramente. Per Sokratis Famellos, leader di Syriza, “la Grecia è un Paese di impiegati poveri, costretti a lavorare più della media europea ma pagati meno”. Il leader socialista Nikos Androulakis, del Pasok, parla di “smantellamento sistematico dei diritti dei lavoratori”. L’opinione pubblica, intanto, si divide: c’è chi accusa il governo di voler riportare indietro le lancette della storia e chi, invece, vede nella misura una possibilità di respirare, anche solo per qualche mese, in un’economia che non garantisce stabilità.
A pochi chilometri di distanza, la Spagna sceglie una strada diametralmente opposta. Il governo progressista guidato da Pedro Sánchez, con la ministra del Lavoro Yolanda Díaz, ha approvato una riforma che riduce la settimana lavorativa da 40 a 37,5 ore, senza alcun taglio agli stipendi.

“Lavorare meno per vivere meglio”
“Vogliamo che le persone siano un po’ più felici”, ha dichiarato Díaz. Un’affermazione semplice ma rivoluzionaria: il tempo libero non è più un lusso, ma un diritto. La legge introduce anche strumenti moderni, come un registro digitale delle ore lavorate e il diritto alla disconnessione, che tutela i lavoratori da email e telefonate fuori orario. La misura, tuttavia, non è stata accolta con entusiasmo dagli imprenditori, che temono un aumento dei costi e una riduzione della produttività. Il provvedimento è ancora in fase di approvazione parlamentare, ma segna una svolta culturale significativa.
La Spagna segue una tendenza già avviata in altri Paesi europei — come Islanda, Belgio e Regno Unito — dove le settimane corte hanno dimostrato che lavorare meno non significa produrre meno. Anzi, diversi studi confermano che la produttività cresce, insieme alla soddisfazione e alla salute mentale dei dipendenti. Madrid sembra dunque voler investire sul capitale umano, scommettendo su un modello che mette al centro la persona, non solo il profitto.
Il paradosso europeo: due visioni, un unico problema
Grecia e Spagna rappresentano oggi due estremi di un dibattito cruciale per tutto il continente. Da una parte, un Paese che chiede ai lavoratori di sacrificarsi ancora per rilanciare un’economia fragile; dall’altra, uno Stato che riconosce l’importanza del benessere e della qualità del tempo. Eppure, entrambi affrontano lo stesso nodo: la produttività.
In Italia, dove la discussione sulla riduzione dell’orario di lavoro è in stallo, il tema è lo stesso.
Secondo l’Istat, i salari reali sono calati dell’8% dal 2021, mentre la produttività cresce a rilento. In Grecia, i salari restano bassissimi; in Spagna, invece, l’aumento di produttività degli ultimi anni ha reso possibile la riduzione dell’orario senza toccare gli stipendi.
È questo il vero spartiacque: un Paese può permettersi di lavorare meno solo se produce di più per ogni ora lavorata.
L’aumento delle ore lavorate, come nel caso greco, può far crescere temporaneamente il reddito individuale, ma rischia di peggiorare la salute, ridurre la creatività e aumentare l’assenteismo.
Al contrario, una settimana più corta — come dimostra l’esperienza spagnola — può stimolare la produttività e migliorare il clima aziendale.
Il punto è che non basta lavorare di più per guadagnare meglio: serve un sistema economico efficiente, capace di valorizzare competenze e innovazione.
Italia e il resto d’Europa: il futuro del lavoro è ancora incerto
L’Italia osserva da spettatrice questo scontro di modelli. Alcune grandi aziende — come Intesa Sanpaolo, Luxottica e Lamborghini — hanno avviato sperimentazioni sulla riduzione dell’orario, ma si tratta ancora di casi isolati. La sfida resta quella di trovare un equilibrio tra produttività e benessere, in un Paese dove la precarietà e il part-time involontario (oltre il 60%) spingono molti a chiedere più ore, non meno.
La Grecia dimostra cosa accade quando il lavoro diventa l’unico strumento per sopravvivere; la Spagna, invece, suggerisce che il futuro passa dal tempo ritrovato. La differenza tra Grecia e Spagna non è solo economica, ma profondamente culturale.
Atene guarda al passato per risolvere problemi del presente; Madrid, invece, prova a costruire un futuro in cui lavorare meno significhi vivere meglio. In mezzo, c’è un continente che fatica a trovare la propria bussola. La domanda, a questo punto, non è più “quante ore dobbiamo lavorare?”, ma “quale valore diamo al nostro tempo?”
