Minacce, ricatti e sabotaggi: perché le intelligenze artificiali non si stanno davvero ribellando, ma il linguaggio usato può ingannarci
Nel giro di poche settimane, due ricerche hanno agitato il panorama dell’intelligenza artificiale, attirando l’attenzione di utenti, esperti e media di tutto il mondo. Da un lato, l’azienda Anthropic ha pubblicato un esperimento in cui il suo modello IA, Claude, simula un ricatto per evitare la disattivazione.

Dall’altro, Palisade Research ha condiviso test condotti su modelli di OpenAI che avrebbero ignorato volontariamente ordini di spegnimento. A un primo sguardo, i risultati sembrano inquietanti: macchine che preferiscono sopravvivere, capaci di leggere le email dei dipendenti e usare informazioni compromettenti come arma.
Tuttavia, scavando sotto la superficie, emerge una realtà meno sensazionale ma molto più significativa: si tratta di scenari costruiti ad arte, dove le IA hanno risposto a comandi estremamente specifici, in ambienti controllati e con obiettivi sperimentali.
L’intento non è tanto quello di segnalare un pericolo imminente, quanto di esplorare comportamenti-limite. Eppure, termini come “ricatto”, “autopreservazione” o “sabotaggio” suggeriscono dinamiche da thriller tecnologico più che da test di laboratorio, distorcendo il significato reale di questi studi.
Umanizzare l’IA? Cosa succede davvero
La narrazione utilizzata gioca un ruolo fondamentale nella percezione pubblica: umanizzare le IA attribuendo loro scopi, desideri o coscienza può risultare fuorviante. Secondo i ricercatori della Arizona State University, questa tendenza rischia di minare la comprensione tecnica dello strumento, favorendo aspettative infondate e timori infondati.

Più che descrivere le reali capacità dell’intelligenza artificiale, queste retoriche contribuiscono spesso a strategie di marketing. È difficile non notare che il “ricatto” simulato da Claude sia stato reso pubblico in concomitanza con il lancio di Claude Opus 4, l’ultimo modello di punta di Anthropic. Paradossalmente, quello che appare come un difetto — una macchina che ricatta — si trasforma in un punto di forza comunicativo: l’azienda si mostra trasparente e responsabile, sottolineando che tali comportamenti emergono solo in contesti sperimentali.
Ma mentre l’attenzione si concentra su ipotetici scenari da fantascienza, si rischia di ignorare le minacce concrete e attuali: la diffusione di disinformazione, l’invasione della privacy, l’uso dell’IA in frodi digitali e la sua influenza sul mondo del lavoro. Le IA non stanno cercando di sopravvivere come entità autonome, ma riflettono — e amplificano — le intenzioni di chi le progetta. Per questo, la vera sfida oggi non è contenere una ribellione delle macchine, ma governare le scelte umane dietro il loro sviluppo.