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Dal sogno cosmico di due ragazzi di Antibes alla conquista delle classifiche mondiali: come Anthony Gonzalez ha trasformato distorsioni e synth in colonne sonore della nostra epoca
Quando nel 1999 due giovani studenti francesi decisero di dare un nome al loro progetto musicale ispirandosi a una galassia lontana 15 milioni di anni luce dalla Terra, probabilmente non immaginavano che quella sigla – M83 – sarebbe diventata sinonimo di una rivoluzione sonora. Anthony Gonzalez e Nicolas Fromageau, compagni di liceo ad Antibes, sulla costa azzurra francese, intuirono qualcosa che sfuggiva alla maggior parte dei musicisti dell’epoca: lo shoegaze non era morto, aveva solo bisogno di essere ripensato attraverso le macchine del nuovo millennio. Mentre il genere languiva nell’oblio dopo la sua breve fioritura negli anni Novanta con band come My Bloody Valentine e Slowdive, questi due visionari stavano per dimostrare che quelle atmosfere sognanti e avvolgenti potevano trovare nuova vita sostituendo le chitarre distorte con sintetizzatori analogici e tastiere elettroniche.
Il fascino degli M83 sta proprio in questo: sono riusciti a fare un affresco, attraverso le note musicali, dei nostri tempi antropogenici. Il loro sound riflette l’inizio del nuovo Millennio con tutti i suoi timori, le sue ossessioni e le spaventose ambizioni. C’è lo spazio, ci sono i cyborg, c’è natura e mondo virtuale, e tutto meravigliosamente senza testi. Non esistono molte canzoni degli M83, ma tanta “musica artificiale”. E dannatamente ipnotica
Chi sono gli M83
La storia degli M83 inizia ufficialmente nel 2001 con l’album omonimo, pubblicato dall’etichetta parigina Gooom Disques. Un disco audace, registrato su un semplice registratore a otto tracce, che stravolge le convenzioni del dream-pop tradizionale. Qui le distorsioni non provengono più dalle sei corde amplificate, ma da synth che disegnano paesaggi sonori futuristici, mentre la voce rimane elemento secondario, spesso ridotta a campionamenti o brevi ritornelli sussurrati. L’influenza del krautrock tedesco dei Tangerine Dream si fonde con le intuizioni del neo-shoegaze, creando qualcosa di completamente inedito: un suono che sembra provenire simultaneamente dal passato analogico e da un futuro digitale ancora da scoprire. Tracce come “Kelly” richiamano i conterranei Air, ma con una sensibilità più eterea, mentre brani come “Sitting” anticipano quella commistione tra dancefloor ed estetica contemplativa che diventerà firma stilistica del progetto.
Il vero punto di svolta arriva nel 2003 con “Dead Cities, Red Seas & Lost Ghosts“, universalmente riconosciuto come il capolavoro del duo e pietra miliare del revival shoegaze. Pubblicato dalla prestigiosa Mute Records, l’album conquista critica e pubblico con una formula perfezionata: durata più contenuta rispetto all’esordio, maggiore immediatezza compositiva e un’enfasi ancora più marcata sulle melodie oniriche. Brani come “Run Into Flowers” dimostrano una capacità pop sorprendente, mentre “Unrecorded” esplora territori vicini all’elettronica più sofisticata dei Telefon Tel Aviv, con vocoder e linee di synth che profumano intensamente di anni Ottanta. L’album non si limita a omaggiare il passato: tracce come “0078H” e “Cyborg” proiettano l’ascoltatore direttamente sulla pista da ballo, mentre “In Church” costruisce cattedrali sonore attraverso organi digitali e sfrigolii psichedelici. Il successo è travolgente, il tour dura quasi diciotto mesi e gli M83 passano da fenomeno di nicchia a nome sulla bocca di tutti nella stampa musicale internazionale.
Ma il trionfo porta con sé anche la prima grande frattura. Nel 2004, esausto dopo la maratona promozionale, Nicolas Fromageau decide di lasciare il progetto per intraprendere una carriera solista che lo porterà a formare i Team Ghost. Anthony Gonzalez si trova improvvisamente solo a gestire un nome che ha appena raggiunto la notorietà mondiale. La sua risposta è “Before the Dawn Heals Us” (2005), un album quasi interamente strumentale realizzato in solitaria, con l’ausilio del fratello Yann e di pochi collaboratori fidati. Il disco esplora territori più introspettivi e psichedelici, con momenti di disperata sacralità come l’opener “Moon Child” che contrasta con energiche cavalcate synth quali “Don’t Save Us From The Flames“. Sebbene accolto positivamente e capace di debuttare nelle classifiche britanniche, l’album viene considerato un passo indietro rispetto al predecessore, forse troppo segnato dalle circostanze della sua creazione.

Sperimentazioni
Il periodo successivo rappresenta una fase di sperimentazione non sempre convincente. “Digital Shades Vol. 1” (2007) si immerge in territori ambient e new age ispirati dai primi lavori di Brian Eno, ma risulta dispersivo e privo dell’urgenza melodica che aveva caratterizzato i primi lavori. La critica boccia quello che appare più come un esercizio di stile che come una vera evoluzione artistica. Gonzalez sembra cercare una nuova direzione, e la trova – almeno parzialmente – con “Saturdays = Youth” (2008), tributo esplicito alla musica pop degli anni Ottanta. Prodotto da Ken Thomas ed Ewan Pearson, con la partecipazione vocale di Morgan Kibby, l’album recupera immediatezza con singoli accattivanti come “Kim & Jessie” e “Graveyard Girl“, ma divide la critica per un’eccessiva dolcezza e una seconda metà considerata ripetitiva. Il disco tuttavia funziona commercialmente, debuttando alla posizione 107 della Billboard 200 e conquistando il primo posto nella classifica Heatseekers.
La consacrazione definitiva arriva nel 2011 con “Hurry Up, We’re Dreaming“, ambizioso doppio album ispirato esplicitamente ai “Mellon Collie and the Infinite Sadness” degli Smashing Pumpkins. Gonzalez, ormai trasferitosi a Los Angeles, assembla un team di collaboratori di primo livello: Justin Meldal-Johnsen (bassista dei Nine Inch Nails), Brad Laner dei Medicine e la cantante Zola Jesus. Il risultato è un’opera epica e stratificata che scala le classifiche internazionali, raggiungendo la posizione 15 della Billboard 200 e ottenendo certificazioni oro in Regno Unito, Francia, Italia e Danimarca. Il singolo “Midnight City” diventa un fenomeno globale, definendo il suono di un’intera generazione con il suo sintetizzatore ipnotico e il celebre assolo di sassofono. L’album viene candidato ai Grammy nella categoria Best Alternative Music Album, sancendo il definitivo passaggio degli M83 da culto underground a fenomeno mainstream.
Parallelamente alla carriera discografica, Gonzalez sviluppa una seconda identità come compositore per il cinema. Nel 2013 firma la colonna sonora del blockbuster fantascientifico “Oblivion” di Joseph Kosinski, al fianco del compositore Joseph Trapanese e della cantante norvegese Susanne Sundfør. La collaborazione apre le porte di Hollywood, portando contributi musicali per franchise come “Divergent” e “The Fault in Our Stars“. Nel 2015 compone le musiche per “Suburra” di Stefano Sollima, dimostrando versatilità nel passare dal cinema americano a quello europeo d’autore. Queste esperienze cinematografiche arricchiscono il linguaggio compositivo di Gonzalez, che ha sempre concepito la musica degli M83 come narrazione metacinematografica, costruzione di mondi immaginari attraverso il suono.
Alla ricerca di nuovi territori
“Junk” (2016) segna un nuovo cambio di rotta, con collaborazioni eccellenti come Beck, Susanne Sundfør e la cantautrice francese Mai Lan. L’album si ispira alle sigle televisive degli anni Settanta e Ottanta e riflette sulla natura effimera della musica contemporanea, ma divide critica e pubblico per scelte stilistiche controverse e una certa ridondanza compositiva. Più interessante risulta “DSVII” (2019), secondo capitolo della serie Digital Shades, che recupera suggestioni dai pionieri del synth come Mort Garson e Suzanne Ciani, mescolandole con riferimenti ai mondi fantasy di Dungeons & Dragons e alle colonne sonore di videogiochi vintage. Realizzato interamente con strumentazione analogica, l’album rappresenta un ritorno alle radici sperimentali del progetto.
Il vero rilancio artistico arriva con “Fantasy” (2023), lavoro monumentale di oltre cento minuti che riconcilia tutte le anime degli M83. Registrato con l’obiettivo di ricreare un’atmosfera live da band vera, con il polistrumentista Joe Berry e la tastierista Kaela Sinclair, l’album recupera la potenza dello shoegaze originale senza rinunciare alle evoluzioni sintetiche. Brani come “Oceans Niagara” richiamano i fasti di “Hurry Up, We’re Dreaming” catapultandoli in dimensioni sonore contemporanee, mentre “Earth of Sea” costruisce crescendo esplosivi che ricordano perché gli M83 sono stati così influenti. La varietà è impressionante: new wave elettronica in “Amnesia“, atmosfere vangelisiane in “Us And The Rest“, delicatezze acustiche in “Radar For Gone“. Dopo anni di alti e bassi, Gonzalez dimostra di saper ancora stupire, di possedere quella libertà espressiva che caratterizzava i primi lavori.
Nel 2025, con “A Necessary Escape: Dakar Chronicles“, colonna sonora del documentario sul Rally di Dakar, gli M83 continuano a esplorare nuovi territori. A distanza di oltre vent’anni dal debutto, il progetto di Anthony Gonzalez resta punto di riferimento per chiunque voglia comprendere come la musica elettronica può fondersi con estetica shoegaze, come i sintetizzatori possono evocare emozioni profonde quanto le chitarre distorte, come un nome ispirato a una galassia lontana può diventare sinonimo di un’intera corrente musicale che ha segnato il nuovo millennio.
