radon Valle d'Aosta - fuorionline
Quando si parla di radon, la maggior parte di noi pensa immediatamente ai seminterrati, alle cantine o agli edifici chiusi. Ed è comprensibile: questo gas radioattivo naturale, inodore e invisibile, si accumula negli spazi confinati e rappresenta la seconda causa di tumore al polmone dopo il fumo di sigaretta. Ma negli ultimi anni qualcosa sta cambiando nell’approccio scientifico a questo problema ambientale. I ricercatori hanno infatti cominciato a guardare oltre le quattro mura domestiche, estendendo le loro indagini all’aria esterna e, soprattutto, al suolo da cui il radon proviene. Non si tratta di un semplice esercizio accademico, ma di una svolta strategica che potrebbe migliorare sensibilmente la nostra capacità di prevenire i rischi sanitari legati a questo elemento.
La domanda che sorge spontanea è: perché misurare il radon all’aperto, dove le concentrazioni sono naturalmente basse e diluite dall’atmosfera? La risposta ha due facce, entrambe affascinanti. Da un lato, conoscere i livelli di radon nell’aria esterna aiuta a costruire mappe del rischio più precise e affidabili. Immaginate di dover capire quali zone di un territorio sono più a rischio: sapere quanto radon c’è già nell’atmosfera locale permette di fare previsioni più accurate su dove questo gas tenderà ad accumularsi negli edifici. Dall’altro lato, il radon outdoor funziona come una sorta di “tracciante naturale” per studiare i movimenti dell’aria vicino al suolo, quello che gli scienziati chiamano “strato di rimescolamento atmosferico”. Questo strato è cruciale per comprendere come si disperdono tutti gli inquinanti nell’aria che respiriamo, dallo smog industriale alle polveri sottili. In altre parole, studiare il radon ci aiuta a capire meglio l’inquinamento atmosferico in generale.
Ma la vera rivoluzione riguarda le misure nel suolo. È qui, infatti, che il radon nasce: si forma dalla decomposizione naturale dell’uranio presente nelle rocce e nei minerali del sottosuolo, e da lì inizia il suo viaggio verso la superficie. Misurare direttamente la concentrazione di radon nella terra, insieme alla permeabilità del terreno (cioè quanto facilmente un gas riesce a muoversi attraverso gli spazi tra le particelle del suolo), significa andare alla fonte del problema. È come studiare la sorgente di un fiume invece di limitarsi a osservare dove l’acqua arriva. Questa conoscenza è fondamentale perché diversi tipi di terreno comportano rischi diversi: un suolo molto permeabile, ad esempio, facilita la risalita del radon verso gli edifici sovrastanti.
La Valle d’Aosta pronta a studiare il radon
C’è poi un aspetto meno noto ma ugualmente importante: il radon nel suolo si comporta come un “segnale” di quello che accade nelle profondità della Terra. I geologi lo usano come indicatore di fenomeni sismici, vulcanici o di movimenti di fluidi nella crosta terrestre. Quando la terra si muove o si prepara a farlo, spesso le concentrazioni di radon cambiano in modo misurabile. Questo non significa che possiamo prevedere i terremoti misurando il radon – la scienza è ancora lontana da questo traguardo – ma certamente questi dati contribuiscono a una comprensione più completa dei processi geologici in atto.

In Valle d’Aosta, l’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente (ARPA) ha deciso di investire in questa nuova frontiera della ricerca. Accanto alle tradizionali misurazioni negli edifici e nelle acque potabili, l’ente ha avviato un programma sistematico di monitoraggio del radon sia all’aria aperta che nel sottosuolo. Un’iniziativa che va oltre il semplice controllo locale: dal 2021, ARPA Valle d’Aosta è co-organizzatrice di un importante esercizio di confronto scientifico a livello nazionale chiamato IRSOIL (Intercomparison of Radon in Soil). Ma cosa significa esattamente “interconfronto” e perché è così rilevante?
Il problema di fondo è questo: attualmente in Italia non esistono standard ufficiali universalmente riconosciuti per misurare il radon nel suolo. Ogni laboratorio può utilizzare strumenti, metodi e procedure leggermente diversi, con il rischio che i dati raccolti in luoghi diversi non siano davvero comparabili tra loro. È come se diverse bilance misurassero lo stesso peso in modo leggermente diverso: diventa difficile avere un quadro complessivo affidabile. Gli interconfronti IRSOIL servono proprio a questo: riuniscono periodicamente laboratori e specialisti da tutta Italia che misurano il radon negli stessi punti, con i propri metodi, per poi confrontare i risultati. L’obiettivo è armonizzare le tecniche, individuare le fonti di variabilità e costruire un approccio condiviso che garantisca dati affidabili ovunque vengano raccolti.
Dopo quattro anni di questi esercizi di confronto, i risultati sono stati così interessanti da meritare una pubblicazione scientifica sulla rivista internazionale “The European Physical Journal Plus“. Lo studio, che analizza le differenze e le convergenze emerse nei primi quattro interconfronti, rappresenta un punto di riferimento per chiunque si occupi di misure di radon nel suolo. Non è solo una questione di prestigio accademico: standardizzare le metodologie significa rendere più efficaci le politiche di prevenzione sanitaria. Se sappiamo con certezza dove il radon emerge dal suolo con maggiore intensità, possiamo indirizzare meglio le risorse per la bonifica degli edifici esistenti e, soprattutto, possiamo pianificare le nuove costruzioni in modo più consapevole.
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Il riconoscimento internazionale è arrivato a settembre 2025, quando il ricercatore di ARPA Valle d’Aosta, Massimo Faure Ragani, è stato invitato a presentare questi risultati al 17° Workshop Internazionale sugli Aspetti Geologici della Mappatura del Rischio Radon, tenutosi a Praga. Si tratta di uno degli appuntamenti più importanti a livello mondiale per chi si occupa di questo tema, frequentato da esperti di decine di Paesi. Che un lavoro italiano, nato dalla collaborazione tra enti regionali e associazioni professionali, abbia trovato spazio in un contesto così qualificato è un segnale della qualità della ricerca che si sta facendo nel nostro Paese, spesso sottovalutata.
Dietro questi risultati scientifici c’è un messaggio più ampio per tutti noi cittadini: la prevenzione ambientale funziona quando si basa su dati solidi e su una comprensione profonda dei fenomeni naturali. Il radon non è un nemico che possiamo eliminare – è parte della natura stessa della Terra – ma è un rischio che possiamo gestire efficacemente se lo conosciamo bene. Misurare il radon dove nasce, nel suolo, e seguirne il percorso fino all’aria che respiriamo, significa dotarsi degli strumenti giusti per proteggere la salute pubblica in modo razionale e mirato.
In un’epoca in cui si parla molto di cambiamenti climatici e grandi emergenze globali, è importante ricordare che anche fenomeni meno “mediatici” come il radon meritano attenzione scientifica costante. Perché la tutela dell’ambiente e della salute si costruisce proprio così: con pazienza, rigore e collaborazione, misura dopo misura, interconfronto dopo interconfronto. E con la consapevolezza che per prevenire un rischio bisogna prima capirlo fino in fondo, partendo dalla sua origine più profonda: le rocce sotto i nostri piedi.
