Bisca La macchina significato-Ig@biscasuona-fuorionline
I Bisca l’avevano previsto: una società schiava delle macchine e degli algoritmi. “La Macchina” è più attuale che mai, 25 anni dopo.
L’anima ce l’hanno presa davvero (chiamatela spirito, coscienza, tempo, come volete) e sarà per questo motivo che sentono di avere il mondo in mano. Del resto hanno tutti i nostri dati, desideri, pensieri, sanno cosa ci piace e cosa no, sanno dove viviamo, a che ora ci svegliamo o andiamo a dormire, hanno i nostri occhi. La tecnologia ci tiene in pugno e dipendiamo tutti da algoritmi. Quello che sta succedendo intorno a noi è l’apoteosi dell’assurdo e se non lo è, ci stiamo per arrivare. I poeti della musica, che sono i cantautori che l’anima invece la mettono per liberare e non per imprigionare ce lo stanno dicendo da tempo, almeno dal secolo scorso perchè ricordiamolo: siamo quelli che hanno attraversato il confine tra due millenni. E, scusate, non è roba da poco.
Nel panorama della musica italiana, pochi brani riescono a coniugare denuncia politica e profondità lirica. Il collettivo napoletano Bisca, attivo fin dai primi anni Ottanta e sempre in bilico tra sperimentazione sonora e attivismo, ha consegnato all’umanità testi più maturi e stratificati, valorizzati da sax antifascista di Sergio Maglietta. L’altro giorno mi è tornata in mente proprio La Macchina contenuta nell’album Altrove, uscito nel 1999.
L’incipit: la menzogna mediatica come rituale quotidiano
Il testo si apre con un’immagine di straordinaria contemporaneità: “L’omino virtuale appare sullo schermo / A ripetere ogni giorno lo stesso ritornello“. In questi due versi iniziali, Sergio Maglietta (oltre che sassofonista, voce storica del gruppo) introduce già il tema centrale dell’alienazione mediatica. L’aggettivo “virtuale” non è casuale: evoca la smaterializzazione del potere, che non ha più bisogno di volti reali per esercitare il proprio controllo. È sufficiente un “omino”, figura diminutiva e quasi grottesca, per veicolare quotidianamente il mantra del sistema.

Il “ritornello” che questo personaggio ripete è precisato nei versi successivi: “La palla liberista del libero mercato / La macchina che va: soldi, Dio e stato“. Qui la scrittura si fa tagliente nella sua sintesi. La “palla” del liberismo viene smascherata come vuota propaganda, mentre la triade “soldi, Dio e stato” viene elencata senza virgole, quasi a suggerire l’intercambiabilità di questi tre pilastri del potere costituito. È notevole come i Bisca ribaltino ironicamente il motto tradizionale “Dio, patria e famiglia”, sostituendolo con una formula che rivela il vero fondamento ideologico del sistema: il capitale al primo posto, la religione come strumento di controllo, lo stato come apparato repressivo.
Il refrain del dubbio: la ripetizione come tecnica di straniamento
Il primo ritornello del brano è costruito sulla ripetizione ossessiva: “Dice che funziona / Quello dice che funziona / Dice che funziona, quello dice”. Questa iterazione martellante ha una duplice funzione poetica. Da un lato, mima la propaganda stessa, che si basa sulla ripetizione acritica di slogan; dall’altro, attraverso l’accumulo, produce uno straniamento brechtiano: la frase, ripetuta fino allo sfinimento, perde significato, si svuota, rivela la propria natura di pura formula retorica.
L’esclamazione finale “Mah!” è un colpo di genio: dopo tanta enfasi propagandistica, una semplice interiezione popolare, napoletana nel suo scetticismo bonario, smonta tutto l’impianto retorico precedente. È la voce del senso comune che si oppone alla mistificazione ideologica.
La contraddizione tra teoria e realtà
La seconda strofa introduce la voce soggettiva del narratore: “A me mi pare strano, perché poi se provo ad accenderla / La macchina non va, non ha nessuna spinta”. Il registro linguistico si fa volutamente colloquiale (“a me mi pare”) per segnalare l’ingresso della prospettiva popolare, quella di chi vive sulla propria pelle le contraddizioni del sistema. La metafora della macchina che “non va” è centrale: ciò che viene spacciato come meccanismo perfetto, oliato, efficiente, si rivela nella pratica un ordigno inceppato.
Il verso successivo contiene un’affermazione capitale: “La macchina, ti dico, è proprio la menzogna / Di questa vita assurda che cammina sulla soglia”. Qui il testo raggiunge una densità filosofica notevole. La macchina non è semplicemente un sistema che non funziona: è essa stessa menzogna, finzione, simulacro. E la vita, ridotta a ingranaggio di questo meccanismo falso, diventa “assurda” – termine che richiama l’esistenzialismo e l’assurdo camusiano – e “cammina sulla soglia”, in bilico tra esistenza e non-esistenza.
La soglia come spazio liminale di resistenza
Il secondo ritornello introduce un concetto chiave: “Sono sulla soglia, sono solo sulla soglia / Sono sulla soglia, sono solo”. La ripetizione, ancora una volta, non è ornamentale ma strutturale. La soglia è definita esplicitamente come “il punto limite in cui è confinato / Chi avverte il meccanismo, ma non è ancora stritolato“.
Questa è forse la definizione più lucida della condizione del soggetto critico nella società contemporanea: né completamente integrato, né completamente espulso. Chi sta sulla soglia ha già la consapevolezza del funzionamento del sistema (“avverte il meccanismo“) ma conserva ancora uno spazio, per quanto precario, di autonomia (“non è ancora stritolato”). La solitudine di questa posizione è sottolineata dall’avverbio “solo”, che ricorre come un’eco dolorosa.
La vita vera contro la meccanizzazione
La terza strofa contiene alcuni dei versi più potenti del testo: “La macchina, dicevo, è solo una metafora / Per dirti che la vita, la vita non quadra!”. Qui i Bisca operano una dichiarazione di poetica esplicita: la macchina è riconosciuta come figura retorica, ma questo non ne diminuisce la forza evocativa. Anzi, dichiarare la natura metaforica del proprio discorso è un atto di onestà intellettuale che rafforza la credibilità del messaggio.
L’esclamazione “la vita non quadra!” è un verso memorabile nella sua semplicità. Il verbo “quadrare”, dal linguaggio contabile, viene usato in senso esistenziale: la vita autentica non può essere ridotta a calcolo, a meccanismo prevedibile. I versi successivi sviluppano questa idea: “Non è come un bullone che si avvita sempre uguale / O come un maresciallo che ti deve interrogare”. Due similitudini efficacissime: il bullone rappresenta la standardizzazione industriale, il maresciallo il controllo poliziesco. Entrambe le immagini evocano un mondo di costrizione e ripetitività.
In opposizione a questo universo meccanico, i Bisca propongono una definizione alternativa di vita: “La vita è un po’ più strana, è fatta di sudore / Sangue, lotta e panni da lavare”. La materialità di questi versi è impressionante. Non c’è retorica astratta, ma corpi che sudano, sangue che scorre, biancheria sporca che va lavata. È la vita concreta, quella del lavoro manuale e della cura quotidiana, che il sistema vorrebbe cancellare o rendere invisibile.
L’espropriazione dell’anima
Il verso-urlo “Vogliono la tua anima per farne una macchina!” rappresenta il cuore tematico del brano. Ripetuto come un mantra di resistenza, questo verso rovescia il rapporto tra umano e meccanico: non è l’uomo che costruisce la macchina, ma il sistema che trasforma l’essere umano in ingranaggio. Il verbo “volere” nella prima formulazione diventa “prendere” nella seconda (“Prendono la tua anima per farne una macchina!”), segnalando il passaggio dalla coercizione ideologica all’espropriazione effettiva.
La dimensione personale: paternità e precarietà
La quarta strofa introduce un elemento biografico: “Mia figlia cresce bene l’ho voluta davvero / Eppure ciò non basta, perché zero è sempre zero!”. Qui la scrittura raggiunge una tenerezza inaspettata. La paternità consapevole (“l’ho voluta davvero”) si scontra con l’impossibilità materiale di garantire un futuro. La formula matematica “zero è sempre zero” esprime con brutalità la condizione di precarietà: per quanti sforzi si facciano, chi parte da zero resta zero nel sistema capitalistico.
I versi seguenti tornano all’accusa diretta: “La macchina non va, con tutti i suoi dettagli / Fatti di menzogne e di fetidi inganni”. L’aggettivo “fetidi” introduce una dimensione olfattiva, quasi fisica, alla denuncia morale: gli inganni del sistema non sono solo intellettualmente disonesti, ma emanano un tanfo di putrefazione.
Il lavoro alienato e la riduzione a zero
La quinta strofa descrive con precisione chirurgica il meccanismo di sfruttamento: “La macchina ignora tutti i tuoi bisogni / Semmai ti spinge pure a fare i doppi turni / Perché nel suo progetto sei solo uno zero / Che vale un po’ di più se le servi davvero”. La progressione logica è implacabile: il sistema non solo ignora i bisogni umani, ma trasforma questa indifferenza in maggiore sfruttamento. L’immagine dello “zero che vale un po’ di più” se serve il sistema è matematicamente paradossale ma esistenzialmente veritiera: l’individuo conta solo in quanto funzionale alla riproduzione del capitale.
La metamorfosi in ordigno
I versi finali completano la parabola distopica: “Così, cresciuta e forte, protetta dallo stato / La macchina da attrezzo, ordigno è diventato”. La progressione da “macchina” ad “attrezzo” a “ordigno” segna un’escalation semantica inquietante. L’ordigno è un dispositivo potenzialmente esplosivo, pericoloso, mortifero. E il soggetto umano, in questa configurazione, è ridotto a “manutenzione”: “Lei vuole da te la massima attenzione… / È una macchina, perdio! Tu sei manutenzione!”.
Il rovesciamento è totale: non è più l’uomo che controlla la macchina, ma la macchina che richiede l’attenzione costante dell’uomo. L’esclamazione “perdio!” aggiunge un tono di esasperazione e incredulità di fronte all’assurdità di questa condizione.
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Una poesia di resistenza
La macchina dei Bisca è un testo di rara coerenza strutturale e intensità espressiva. La metafora centrale viene sviluppata con rigore quasi concettuale, senza mai cadere nell’astrattezza: ogni affermazione teorica è ancorata a immagini concrete, a esperienze vissute, a emozioni riconoscibili. La lingua alterna registro colto e parlato popolare, creando un impasto linguistico che riflette la matrice napoletana del gruppo ma aspira a una dimensione universale.
Sul piano formale, l’uso strategico della ripetizione – dei ritornelli, di singoli versi, di strutture sintattiche – crea un effetto ipnotico che mima il funzionamento della propaganda ma, insieme, lo denuncia. È una poetica della ripetizione critica, che usa le armi del sistema per smontarlo dall’interno.
I Bisca, con la loro storia quarantennale di sperimentazione tra ska, rock, elettronica e impegno politico, consegnano qui un manifesto poetico che parla a chi vive “sulla soglia”, a chi avverte il meccanismo ma resiste allo stritolamento. In un’epoca in cui il capitale si è fatto algoritmo e la macchina è diventata virtuale ma non meno opprimente, questo testo conserva tutta la sua urgenza e la sua necessità.
Testo:
L’omino virtuale appare sullo schermo
A ripetere ogni giorno lo stesso ritornello
La palla liberista del libero mercato
La macchina che va: soldi, Dio e stato
Dice che funziona
Quello dice che funziona
Dice che funziona, quello dice
Dice che funziona
Quello dice che funziona
Dice che funziona, quello dice
Mah!
A me mi pare strano, perché poi se provo ad accenderla
La macchina non va, non ha nessuna spinta
La macchina, ti dico, è proprio la menzogna
Di questa vita assurda che cammina sulla soglia
Sono sulla soglia, sono solo sulla soglia
Sono sulla soglia, sono solo
Sono sulla soglia, sono solo sulla soglia
Sono sulla soglia, sono solo
La soglia è il punto limite in cui è confinato
Chi avverte il meccanismo, ma non è ancora stritolato
La macchina, dicevo, è solo una metafora
Per dirti che la vita, la vita non quadra!
Non è come un bullone che si avvita sempre uguale
O come un maresciallo che ti deve interrogare
La vita è un po’ più strana, è fatta di sudore
Sangue, lotta e panni da lavare
Vogliono la tua anima per farne una macchina!
Prendono la tua anima per farne una macchina!
La vita di ogni giorno, per quanto mi riguarda
È ciò che mi interessa, è quello di cui parlo
Mia figlia cresce bene l’ho voluta davvero
Eppure ciò non basta, perché zero è sempre zero!
La macchina non va, con tutti i suoi dettagli
Fatti di menzogne e di fetidi inganni
La macchina non va, ne sono sicuro
La macchina non va, te lo dico, lo giuro!
Sono sulla soglia, sono solo sulla soglia
Sono sulla soglia, sono solo
Sono sulla soglia, sono solo sulla soglia
Sono sulla soglia, sono solo
La macchina ignora tutti i tuoi bisogni
Semmai ti spinge pure a fare i doppi turni
Perché nel suo progetto sei solo uno zero
Che vale un po’ di più se le servi davvero
Così, cresciuta e forte, protetta dallo stato
La macchina da attrezzo, ordigno è diventato
Lei vuole da te la massima attenzione…
È una macchina, perdio! Tu sei manutenzione!
Vogliono la tua anima per farne una macchina!
Prendono la tua anima per farne una macchina!
Vogliono la tua anima per farne una macchina!
Prendono la tua anima per farne una macchina!
