Colonialismo climatico: l’Europa all’attacco

Il termine “colonialismo climatico” si riferisce a una dinamica in cui i paesi o le regioni più sviluppati traggono vantaggio dalle misure adottate per affrontare i cambiamenti climatici a scapito delle nazioni meno sviluppate.

L’Europa, in un mondo sempre più consapevole dell’urgenza climatica, sta sperimentando un nuovo approccio alla riduzione delle emissioni di carbonio attraverso accordi internazionali. Uno di questi accordi è emerso tra la Svizzera e il Ghana, con la presentazione di un’interessante prospettiva che solleva dibattiti sulla reale efficacia di tale cooperazione. Da un lato, questo modello di scambio potrebbe rappresentare una soluzione innovativa per accelerare la decarbonizzazione globale, ma, dall’altro, potrebbe anche sollevare preoccupazioni legate a un possibile colonialismo climatico.

La Svizzera, che ha visto fallire un referendum per tagliare drasticamente le sue emissioni interne di carbonio nel 2021, ha adottato una strategia controintuitiva guardando oltre i suoi confini. L’accordo con il Ghana si basa su un meccanismo di “risultati di mitigazione trasferiti a livello internazionale” (ITMO), consentendo alla Svizzera di finanziare progetti sostenibili in Ghana, come illuminazione efficiente e stufe pulite. Questo approccio ha triplicato i vantaggi: la Svizzera raggiunge i suoi obiettivi climatici, il Ghana beneficia di tecnologie a basse emissioni e il pianeta ne trae vantaggio attraverso la riduzione complessiva delle emissioni globali.

Un richiamo alle promesse passate

Per la Svizzera, questo è un modo pragmatico per affrontare la sfida climatica, considerando che gran parte della sua energia proviene da fonti come il nucleare e l’energia idroelettrica. Tuttavia, emerge un rischio morale: le nazioni ricche, responsabili della maggior parte delle emissioni storiche, potrebbero sfruttare questo sistema per mantenere i loro stili di vita attuali, perpetuando un modello di sfruttamento simile a quello del colonialismo del passato.

Inoltre, c’è un richiamo alle promesse passate, come l’impegno dei paesi sviluppati nel 2009 di raccogliere 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020 per sostenere azioni climatiche nei paesi in via di sviluppo. Questo obiettivo non è stato raggiunto, sollevando dubbi sulla volontà delle nazioni ricche di onorare i propri impegni climatici e morali prima di intraprendere nuove iniziative di scambio di emissioni.

Colonialismo climatico Europa
Colonialismo climatico Europa – fuorionline.com

Un rischio morale

  1. Pagamento per le normali attività. Le nazioni ricche sono responsabili della stragrande maggioranza delle emissioni storiche di carbonio e continuano a fornire enormi contributi pro capite nei trasporti e nell’uso dell’energia domestica. Proprio come le nazioni coloniali hanno costruito la loro ricchezza sfruttando le risorse di terre lontane, lo scambio di emissioni potrebbe consentire loro di mantenere gli attuali stili di vita delocalizzando l’azione climatica.
  2. Un debito insoluto. Già nel 2009, i paesi sviluppati avevano promesso di raccogliere 100 miliardi di dollari ogni anno entro il 2020 per aiutare i paesi in via di sviluppo a finanziare le azioni a favore del clima. L’OCSE afferma che l’obiettivo non è mai stato raggiunto, raggiungendo il tetto massimo di 83 miliardi di dollari nel 2020. Forse le nazioni ricche non dovrebbero arrivare a commerciare per ridurre le emissioni di carbonio, finché non avranno rispettato i loro attuali impegni climatici (e morali).
  3. Scavare le nazioni in via di sviluppo in un buco climatico. Se le nazioni in via di sviluppo scambiassero all’estero le loro facili vittorie in materia di carbonio, ciò potrebbe rendere loro più difficile affrontare le sfide successive, più difficili, osserva Thomas Day del NewClimate Institute di Carbon Pulse. È anche preoccupato che le nazioni ricche stiano semplicemente pagando per alcuni progetti che sarebbero comunque realizzati, come un programma svizzero per l’edilizia a basse emissioni di carbonio in Georgia.

Traduzione dall’inglese – Colonialismo climatico

Da anthropocenemagazine.org

Il colonialismo climatico è sempre più concreto

Le preoccupazioni crescono riguardo alla possibilità che le nazioni in via di sviluppo, coinvolte in tali scambi, possano essere scavate in un “buco climatico”, affrontando sfide future più difficili. Inoltre, il timore è che le nazioni ricche possano pagare per progetti che verrebbero comunque realizzati autonomamente, minando così il reale impatto positivo sul clima.

Diversi paesi, come Giappone e Svezia, stanno seguendo l’esempio della Svizzera, mentre le regole definitive su come funzionerà lo scambio di carbonio internazionale sono ancora in fase di definizione. L’approccio degli ITMO dovrà essere monitorato attentamente durante i colloqui della COP per garantire un impatto positivo a lungo termine e per evitare abusi o approcci unilaterali.

Se da un lato questa nuova forma di cooperazione internazionale potrebbe rappresentare una soluzione innovativa per raggiungere gli obiettivi climatici, è essenziale affrontare le preoccupazioni etiche e morali, assicurandosi che le nazioni ricche rispettino i propri impegni prima di intraprendere nuove iniziative.

LEGGI ANCHE —————————————————————————–> L’America Latina devastata dagli incendi, qual è la causa? Cosa c’è dietro il fuoco che sta uccidendo persone e biodiversità

Il colonialismo climatico evidenzia che, nel tentativo di ridurre le proprie emissioni di gas serra o raggiungere gli obiettivi climatici, le nazioni industrializzate possano trasferire parte del loro impatto ambientale verso le regioni in via di sviluppo. Questo può avvenire attraverso vari meccanismi, come l’acquisto di crediti di carbonio o la finanziaria di progetti sostenibili nei paesi in via di sviluppo.

Condividi su

Lascia un commento