L’epopea di Gino Rossi: il pittore del bosco tra arte e tormento

Gino Rossi, una delle figure più emblematiche e meno comprese del Novecento italiano, ha vissuto una vita intrisa di sofferenze e straordinarie intuizioni artistiche. In occasione del centenario della sua nascita a Venezia, avvenuta il 6 giugno 1884, è giusto riflettere su questo artista la cui produzione, seppur esigua, è di un’intensità senza pari. Rossi ci ha lasciato circa centotrenta opere, ognuna delle quali è una testimonianza di un percorso emotivo e creativo unico.

Nato in una famiglia agiata, con un padre che lavorava come fattore del conte Enrico Carlo di Borbone, grande collezionista d’arte orientale, Gino Rossi trascorse la sua infanzia a Venezia, vicino a campo San Samuele. A quattordici anni, abbandonò gli studi per dedicarsi completamente alla pittura. Tuttavia, il periodo iniziale della sua carriera è avvolto nel mistero, poiché Rossi stesso dichiarava di non ricordare molto della sua giovinezza.

Gli esordi nella pittura di Gino Rossi

Il primo viaggio di Gino Rossi a Parigi e in Bretagna nel 1909 segnò un punto di svolta nella sua carriera. Qui, incontrò l’arte di Paul Gauguin e le stampe orientali, che influenzarono profondamente il suo stile. Rossi si distaccò dalle tradizioni ottocentesche italiane per abbracciare un linguaggio artistico più moderno e personale. Le sue opere, come “La fanciulla del fiore“, esibiscono campiture cromatiche vivaci e forme stilizzate, con contorni nervosi che ricordano il cloisonnisme di Gauguin.

La “Grande descrizione asolana” del 1912 e “San Francesco del Deserto” riflettono questa fase di sperimentazione stilistica, caratterizzata da una luce interna che sembra emanare dai soggetti stessi, come nelle vetrate. A Burano, Rossi trovò un ambiente fertile per la sua arte, circondato da amici artisti come Arturo Martini, con cui condivise un profondo legame artistico e umano. Martini stesso influenzò Rossi, come si evince dalla sua predilezione per la costruzione formale rispetto al colore.

La chiamata alle armi e la sofferenza della prigionia

La vita di Gino Rossi fu profondamente segnata dalla Prima Guerra Mondiale. Chiamato alle armi nel 1916, fu inviato al fronte nel 1917, dove venne fatto prigioniero e deportato a Restatt, in Germania. “Ho sofferto una prigionia allucinante“, ricordava l’artista. Durante la prigionia, uno dei suoi compiti era dipingere i nomi dei compagni morti sulle croci. Al suo ritorno in Italia nel 1918, trovò la sua casa distrutta e le sue opere disperse.

La guerra lasciò un segno indelebile nella mente e nell’animo di Gino Rossi. Tornato a Venezia, cercò di ritrovare la sua voce artistica in un mondo che sembrava averlo dimenticato. Nonostante gli stenti e la difficoltà di affermarsi, il pittore continuò a dipingere, trovando rifugio nella natura e nei paesaggi di Asolo e del Montello. “Io sto su, bene in alto, in cima al Montello. E qui la sera e la mattina mi godo il panorama della libertà sconfinata. Potrei qui fare pittura in camicia e anche senza, non ci sono villeggianti, non ci sono che i miei due cani. Sono diventato l’uomo della natura, l’uomo del bosco”, scriveva.. Tuttavia, la solitudine e il dolore continuarono a tormentarlo.

Gino Rossi centenario
“Landscape from Asolo, 1912” – Venezia festeggia il centenario dalla nascita di Gino Rossi – (Credit:Ig@artistswonders)-(www.fuorionline.com)

La malattia mentale

La seconda parte della vita di Gino Rossi fu segnata dalla malattia mentale. Nel 1926, dipinse il suo ultimo quadro, “Il cortile del manicomio”, prima di essere ricoverato in varie istituzioni psichiatriche. La sua mente, una volta brillante e creativa, era ora oscurata dalla follia. Rossi trascorse gli ultimi anni della sua vita in solitudine, disegnando compulsivamente su fogli di carta, quasi come se cercasse di catturare qualcosa che popolava la sua immaginazione.

La sua morte nel 1947 segnò la fine di una vita tormentata e intensa, ma anche l’inizio di un lento riconoscimento del suo valore artistico. Le sue opere, con la loro autonomia stilistica e la loro capacità di dialogare con le correnti europee, emergono come testimonianze di un talento unico, capace di trascendere la condizione provinciale che caratterizzò molti artisti italiani del suo tempo.

Come Vincent van Gogh

Rossi è spesso paragonato a Vincent van Gogh, non solo per alcune coincidenze biografiche, ma anche per l’intensità emotiva che pervade le sue opere. Come van Gogh, anche Rossi trovò nell’arte un mezzo per esprimere la sua visione del mondo, una visione che era al contempo profondamente personale e universale. La sua vita e la sua arte ci ricordano l’importanza di guardare oltre le apparenze, di cercare la bellezza anche nei momenti più oscuri e di riconoscere il valore dell’individualità in un mondo sempre più omologato.

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Nel ricordare Gino Rossi a centoquarant’anni dalla sua nascita, celebriamo non solo un grande artista, ma anche un uomo che, nonostante le avversità, ha continuato a lottare per la sua arte e la sua libertà. La sua eredità artistica è un prezioso testimone della capacità dell’arte di sopravvivere al tempo, alle guerre e alla follia, illuminando il cammino delle generazioni future.

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