Anche in Italia scoppiano le proteste contro l’inefficienza della Cop 28: la reazione della politica

Le proteste contro i cambiamenti climatici, mentre a Dubai si sta svolgendo la Cop28

Le acque di cinque tra le più rinomate città italiane sono state trasformate in una tavolozza vivace di verde da attivisti legati al movimento Extinction Rebellion. Un’azione pacifica, ma potente, che ha coinvolto le città di Roma, Venezia, Milano, Torino e Bologna. Questa volta, la scelta è caduta sulla fluorescina, una sostanza tracciante salina completamente innocua, utilizzata comunemente anche in ambito geologico e speleologico. Un mezzo insolito ma efficace per veicolare un messaggio di protesta.

La Cop 28 di Dubai intanto, inaugurata il 30 novembre, si avvicina alla sua conclusione il 12 dicembre, suscitando scarso ottimismo per risultati tangibili. In un contesto apparentemente paradossale, gli Emirati Arabi Uniti, nazione ospitante, si ergono tra i principali emettitori pro capite di gas serra al mondo, gettando ombre sulle speranze di una reale azione contro la crisi climatica.

Le proteste nelle principali città italiane

Il colore vivace e scenografico delle acque non è solo una manifestazione artistica, ma un grido di denuncia contro ciò che gli attivisti considerano un fallimento politico, incarnato dalla Cop28 e dai governi globali nel loro impegno a contrastare la crisi climatica e la sesta estinzione di massa. Ventisette anni di summit internazionali che, secondo gli attivisti, si sono tradotti in altrettanti fallimenti, con le emissioni che continuano a crescere e senza accordi vincolanti per invertire la tendenza.

A Torino e Milano, un’installazione insolita ha catturato l’attenzione: una casa di carta è emersa sulle acque verdi del Po e dei Navigli, solo per sprofondare, simboleggiando i disastri climatici che si ripetono ciclicamente. Lungo i Murazzi a Torino, un gruppo di circa 30 persone ha intrattenuto i passanti con discorsi, musica e letture, portando avanti la loro protesta in modo pacifico ma deciso. Anche la casa di carta affondata ha contribuito a mettere in scena una rappresentazione visiva degli impatti climatici.

Nella città lagunare di Venezia, alcune persone hanno affrontato il Canal Grande calandosi con imbraghi dal ponte di Rialto. La loro dichiarazione è carica di simbolismo: “Siamo tutti appesi a un filo.” La consapevolezza del pericolo imminente del cambiamento climatico e la percezione di un futuro minacciato sono il motore di questa azione di protesta.

A Bologna, canotti sono stati calati nel famoso canale del Reno, che attraversa il centro della città. Lungo le rive del Guazzatoio, un piccolo presidio ha atteso l’intervento della polizia. A Roma, infine, l’isola Tiberina è stata circondata dalle acque verde smeraldo del Tevere. I volantini distribuiti ai passanti su ponte Garibaldi esortano: “Respira e ribellati con noi.”

La politica in Italia risponde così alle proteste

Le reazioni politiche non si sono fatte attendere. Esponenti della destra hanno accusato gli attivisti di essere degli “eco-vandali,” con Matteo Salvini in testa a chiedere sanzioni severe, tra cui multe e carcere. Dall’Extinction Rebellion, la risposta è arrivata con chiarezza: “Il colore dei nostri mari e dei nostri fiumi continuerà a cambiare man mano che le temperature aumentano. Mentre i governi parlano, noi contiamo i danni e le vittime di alluvioni e incendi.”

In questo contesto, l’azione degli attivisti non è solo una forma di protesta, ma un tentativo di portare l’attenzione sulle conseguenze tangibili e immediate della crisi climatica, sfidando il status quo e chiedendo azioni concrete e vincolanti a livello globale.

Il presidente della Cop28, Sultan Al Jaber, ministro dell’Industria e delle Tecnologie degli Emirati Arabi Uniti nonché amministratore delegato e direttore generale della compagnia petrolifera statale Abu Dhabi National Oil, incarna un conflitto di interessi evidente. La sua figura, associata anche al negazionismo climatico, solleva preoccupazioni sul reale impegno della nazione medio-orientale a contrastare il riscaldamento globale e ad affrontare le sue drammatiche conseguenze.

Il mondo, nel frattempo, sta vivendo una fase di “anormalità climatica permanente”, con il 2022 caratterizzato da eventi meteorologici estremi e il 2023 proiettato, secondo l’Organizzazione mondiale della meteorologia, a essere l’anno più caldo mai registrato. Questo scenario mette in evidenza la necessità di azioni concrete e decisive.

Chi paga il prezzo più alto

Tuttavia, il prezzo maggiore viene pagato dai paesi poveri, vittime innocenti del cambiamento climatico. Sebbene contribuiscano in misura minima alle emissioni, ne subiscono le conseguenze in modo drammatico. Il primo atto della Cop 28, l’attivazione dello strumento Loss and Damage, annunciato con enfasi, si rivela inadeguato alle esigenze reali. I 420 milioni di dollari stanziati sono ben lontani dai 215-387 miliardi annui stimati necessari per consentire a questi paesi di difendersi dal riscaldamento globale.

Inoltre, la possibilità che la COP reintroduca il nucleare come scelta strategica per ridurre le emissioni di CO2 è un rischio concreto. Mentre il nucleare non contribuisce al riscaldamento globale, la sua pericolosità intrinseca, con il potenziale di devastare vaste aree del pianeta in caso di incidenti, solleva interrogativi fondamentali sulla sua idoneità come soluzione.

LEGGI ANCHE ——————————————————————- > The Cure, Robert Smith diventa pittore contro il Cambiamento Climatico | La reazione dei fan

Il confronto tra il modesto stanziamento economico per affrontare le sfide climatiche e i costi esorbitanti associati a progetti militari, come il cacciabombardiere F35, mette in luce le priorità sbilanciate e la mancanza di impegno reale. La realtà, quindi, evidenzia il fallimento intrinseco delle varie Conferenze delle Parti nel risolvere la crisi climatica. La logica del profitto, indifferente alla desertificazione e alle inondazioni che trasformano il pianeta, persiste.

Condividi su

Lascia un commento