Greenwashing, cosa significa, chi lo fa e come riconoscerlo | Sbarca anche a Sanremo?

Essere green oggi può assumere sfumature torbide se hanno il sospetto di “falso” per fini meramente economici. Il greenwashing è una pratica in cui un’azienda o un’organizzazione si impegna in attività pubblicitarie o di marketing per creare un’immagine falsa o esagerata di sostenibilità ambientale, al fine di apparire più ecologica di quanto sia in realtà. In altre parole, si tratta di un tentativo di mascherare le pratiche commerciali non sostenibili o dannose per l’ambiente attraverso un’immagine di responsabilità ecologica.

Le aziende coinvolte in questa pratica possono utilizzare termini come “ecologico”, “biodegradabile”, “sostenibile” o “amico dell’ambiente” senza fornire una base concreta per tali affermazioni. Questo comportamento ingannevole può portare i consumatori a fare scelte d’acquisto basate su informazioni fuorvianti, danneggiando così gli sforzi autentici di sostenibilità e compromettendo la fiducia dei consumatori.

Come contrastare il Greenwashing

Per contrastare il greenwashing, è importante che i consumatori siano consapevoli e critici nelle loro valutazioni delle affermazioni ambientali delle aziende e cerchino informazioni affidabili e trasparenti sulla sostenibilità delle pratiche aziendali.

Ecco alcuni esempi che potrebbero verificarsi in diverse industrie:

  • Etichette fuorvianti sui prodotti alimentari:
    Un’azienda potrebbe utilizzare etichette come “naturale” o “biologico” senza fornire dettagli o certificazioni concrete. Potrebbe suggerire che un prodotto è più sano o sostenibile di quanto non sia in realtà.
  • Industria dell’abbigliamento:
    Un marchio potrebbe pubblicizzare la sua linea di abbigliamento come “ecologica” o “sostenibile” senza fornire informazioni specifiche sui materiali utilizzati o sulle pratiche di produzione effettive.
  • Settore automobilistico:
    Un’azienda automobilistica potrebbe concentrarsi su caratteristiche “verdi” di un modello specifico senza affrontare l’impatto ambientale complessivo della produzione di veicoli o senza fornire dati reali sulle emissioni.
  • Prodotti per la pulizia:
    Alcuni prodotti per la pulizia potrebbero essere pubblicizzati come “verdi” o “ecologici”, ma potrebbero ancora contenere ingredienti dannosi per l’ambiente o per la salute umana.
  • Energia:
    Un’azienda energetica potrebbe pubblicizzare la sua “energia verde” senza chiarire la percentuale effettiva di energia proveniente da fonti rinnovabili o senza menzionare altri impatti ambientali legati alle loro operazioni.
  • Settore alberghiero:
    Un hotel potrebbe affermare di essere “amico dell’ambiente” incoraggiando i clienti a riutilizzare gli asciugamani, ma potrebbe trascurare aspetti più significativi come le sue pratiche di gestione dei rifiuti o l’efficienza energetica.

Questi sono solo esempi generali, ma illustrano come possa manifestarsi in vari settori, influenzando la percezione dei consumatori senza un reale impegno verso la sostenibilità.

Greenpeace contro ENI

In occasione del Festival di Sanremo 2024, il colosso petrolifero e del gas ENI ritorna sul palco dell’Ariston, presentando con fierezza sia Plenitude che Enilive. Greenpeace non ci sta e fa sapere che dietro questa vetrina verde si cela un sottile e diffuso tentativo di greenwashing, che solleva con veemenza.

Mentre la crisi climatica si intensifica, ENI, uno dei principali responsabili, persiste nell’inquinamento, sfruttando eventi prestigiosi come Sanremo per costruire un’immagine di sostenibilità che non rispecchia la realtà. Questa tattica si manifesta attraverso sponsorizzazioni, accordi con istituzioni educative e pubblicità strategiche, cercando di influenzare l’opinione pubblica sulla sua impronta ambientale.

La causa legale contro ENI

ENI, definito da Greenpeace il principale emettitore di CO₂ in Italia, prosegue con investimenti considerevoli nei combustibili fossili, dimostrando uno scollamento tra l’immagine green e la realtà aziendale. Nonostante gli sforzi per promuovere Plenitude, riveliamo che ENI investe quindici volte di più in petrolio e gas per ogni euro destinato alle fonti rinnovabili.

Greenpeace fa sapere che la loro preoccupazione cresce, considerando che gran parte degli investimenti di Plenitude continua ad alimentare attività non rinnovabili, lasciando meno del 7% per le energie rinnovabili. La causa legale “La Giusta Causa”, avviata da ReCommon insieme a dodici cittadine e cittadini italiani, mira a obbligare ENI a cambiare il suo modello industriale, responsabile delle emissioni evitabili che contribuiscono alla crisi climatica.

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Presentata lo scorso maggio, la causa sarà discussa in tribunale il 16 febbraio a Roma. È giunto il momento di esporre la verità dietro il greenwashing di ENI eidi altre aziende che praticano il greenwashing di chiedere un cambiamento concreto nelle loro pratiche industriali per un futuro più sostenibile.

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