L’Adieu des glaciers chiude con il Monte Bianco. Peyrot: “la fotografia, un manufatto prezioso da curare”

L’Adieu des glaciers è arrivato al suo compimento con il suo ultimo tassello: la mostra fotografica sul Monte Bianco, inaugurata venerdì 28 luglio al Forte di Bard. Un progetto importante partito nel 2019 che si basa sull’analisi dei ghiacciai. ” Avevamo analizzato questa situazione di criticità ambientale che si stava annunciando in maniera già abbastanza forte, ma che poi è esplosa con il cambiamento climatico che si è registrato proprio in questi ultimi anni. L’attenzione sulla montagna, aspetto significativo della nostra Valle Aosta, non è stata immediata, ma devo dire che la tragedia della Marmolada dell’anno scorso ha posto maggiore attenzione” Ha spiegato la presidente dell’Associazione Forte di Bard Ornella Badery durante la presentazione dell’esposizione.

La parte scientifica con 29 argomenti

L’indagine, che poi è anche un lungo racconto che riporta indietro nel tempo, è partita con il Monte Rosa, poi è passata al Monte Cervino e l’anno scorso al Gran Paradiso.

Michele Freppaz ed Enrico Peyrot (Credits: fuorionline.com)

142 autori, 29 schede di ricerca, 73 fotografie e una serie di foto-confronto per un totale di otto sezioni distinte, presentano quest’anno il Monte Bianco: quarta tappa curata come sempre dal fotografo Enrico Peyrot, per la parte storica e iconografica, mentre la parte scientifica è stata affidata a Michele Freppaz, professore del Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università di Torino, che ha spiegato che le attività di ricerca scientifica sulle montagne quest’anno hanno fatto un lavoro particolarmente straordinario, con 29 argomenti sviluppati, in qualche modo ancora in corso che sono soprattutto anche delle sfide, dei quali una sintesi è stata inserita nella mostra. Le attività di ricerca vengono fatte con le guide alpine, aiuto indispensabile per chi affronta questi studi. Studi che inevitabilmente ci portano ad un pensiero sull’ Antropocene e al ruolo che il Monte Bianco ha anche sotto questo punto di vista.

“L’Antropocene è un’era che viene codificata in quell’ impatto dell’uomo che è tale da modificare e alterare lo stato del pianeta. Si è ragionato su quale marchio o livello utilizzare per identificarlo. Una parte delle ricerche che si conducono sul Monte Bianco possono contribuire anche ad evidenziare l’impatto dell’uomo sull’ambiente: è un contributo, così come altri siti di ricerca, che il Monte Bianco può offrire”. Ha affermato Freppaz.

L’Adieu des glaciers attraverso le foto

La mostra L’Adieu des glaciers quest’anno racchiude una storia nella storia: “Tempo fa l’ENIT organizzò una mostra ad Aosta con centinaia di foto e quando fu scoperto un fondo abbandonato in un magazzino, una ventina di anni fa, si pensò che appartenesse allo stesso evento. Ma durante il lavoro di pre-catalogazione abbiamo scoperto invece che erano fotografie commissionate dal Comitato Provinciale del Turismo di Aosta a Vittorio Sella, che tra il 1934 e il 1935 eseguiva stampe fotografiche. Si tratta di una collezione esemplare della Regione, composta da circa 80 pezzi, ancora in fase di studio con autori da identificare. A parer mio è la più importante e quella con il maggior valore, a livello di stampe fotografiche storiche che abbiamo: un valore inestimabile. E per la prima volta ne diamo notizia.” Riferisce Peyrot.

Credits: fuorionline.com

Tra queste spicca la stampa in bianco e nero della panoramica del Monte Bianco di 220° effettuata dalla Tour Ronde tra fine Ottocento e Primo Novecento. Ma quanto l’arte e in questo caso la fotografia, può contribuire alla sensibilizzazione sul cambiamento climatico?

Oggi molti ecologisti attaccano l’arte imbrattando opere di valore o monumenti, per lanciare un messaggio, per denunciare l’indifferenza che questo comparto mostra di avere nei confronti dell’emergenza ambientale. Forse il Forte di Bard, L’Adieu des glaciers in particolare va decisamente controcorrente:

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“Qui c’è un taglio soprattutto storico, questo fa la differenza con la fotografia contemporanea in cui si vedono molto spesso i ghiacciai, ma se non si ha il confronto di com’erano solo 50 o 100 anni fa, come si capisce? Anche se questa mostra non gioca tanto sui confronti perché ne abbiamo solo un esempio. La fotografia è anche arte: intanto le generazioni che ci hanno preceduto di cosa sono rimasti incantati? Qual è stata la loro poetica? ” commenta e si chiede Enrico Peyrot.

Perché hanno visto questi luoghi, non solo di rocce, ma anche di ghiacci e nevi, perché hanno fotografati questi luoghi? Vuol dire che c’era una magia, qualcosa che toccava nell’intimo, come la nostra mente, la nostra coscienza, quindi i nostri valori. Oggi i ghiacciai stanno svanendo, quello che fra cento anni vedremo, sarà grazie alle foto. Le fotografie ancora di più sono da curare. Se non riusciamo a curare, il cambiamento climatico, ognuno di noi, nel nostro piccolo, può invece curare le fotografie che abbiamo, magari quelle riposte nei nostri cassetti. I ghiacciai del resto, se continuiamo così, li vedremo solo in fotografia: c’è un valore ancora di più nella fotografia stessa, come oggetto, come manufatto di idee, aspirazioni, di capacità tecniche e capacità artistiche.” Conclude il professionista.

La mostra rimane al Forte di Bard fino al 07/01/2024

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